Prima che il termine “cybersecurity” diventasse trendy, io già sporcavo le mani analizzando righe di codice malevolo su terminali che scaldavano come forni a legna. Ho visto cose che oggi chiamerebbero “zero-day” quando ancora li bollavano come “bug misteriosi”.
Questo mestiere me lo sono sudato col tempo, col fiuto, e soprattutto con la testa sempre sul campo. E oggi ti voglio parlare di un nemico subdolo, silenzioso, ma letale: lo spyware. E più ancora, delle sue vittime — che spesso nemmeno si rendono conto di esserlo.
ECCO IL CONTENUTO
- Il mito del “non ho nulla da nascondere”
- Gli insospettabili: chi finisce nel mirino
- La trappola dell’eccesso di fiducia
- Come riconoscere una vittima (prima che sia troppo tardi)
- Strumenti e contromisure da veterano
- Le vere vittime sono quelle che non ascoltano
- Chiudere il cerchio: il dovere dell’artigiano digitale
Il mito del “non ho nulla da nascondere”
Ah, quante volte l’ho sentita questa. È il mantra dell’ignaro, del principiante. “Non sono nessuno, perché dovrebbero spiarmi?” Ti dirò perché: perché sei un numero, e i numeri fanno soldi. Lo spyware non cerca celebrità, cerca dati. Tonnellate di dati. Abitudini di navigazione, credenziali salvate male, app bancarie aperte alla leggera… ogni pezzo vale oro sul mercato nero.
Una volta, durante un’analisi forense su un vecchio laptop di un artigiano, trovai uno spyware che aveva registrato i suoi movimenti bancari per mesi. Non era un politico, non era famoso. Era solo uno con un conto PayPal pieno e password sempre uguali.
Le vittime non sono sempre inconsapevoli. Spesso sono solo stanche. Troppo prese dal quotidiano per capire che il telefono che surriscalda o l’app che si apre da sola sono segnali. Campanelli d’allarme che nessuno ascolta più.
Gli insospettabili: chi finisce nel mirino
Lascia perdere i cliché dei film. Le vere vittime dello spyware sono:
- Imprenditori con troppa fiducia nei loro sistemi interni
- Genitori che scaricano app “sicure” per controllare i figli
- Dipendenti che aprono allegati “urgenti” da indirizzi noti
- Adolescenti attratti da giochi gratuiti o app di editing “premium”
Una volta beccammo uno spyware in un’app di fotoritocco popolare tra le influencer. Mentre ritoccavano i selfie, qualcuno a Mosca si prendeva i loro contatti, l’accesso a Instagram e — se andava bene — qualche password dimenticata nel portachiavi del browser.
La trappola dell’eccesso di fiducia
Gli utenti esperti sono spesso i più vulnerabili. Sì, hai letto bene. Perché? Perché si fidano di sé stessi. Pensano di saper riconoscere un attacco. Ma lo spyware non manda inviti. Si infila in una libreria JS obsoleta, in un plugin WordPress dimenticato o in un’app VPN “gratuita” scaricata da uno store alternativo.
Nel 2016 mi chiamarono per indagare su una compromissione aziendale. Tutto era blindato, firewall, antivirus enterprise, server aggiornati. L’entry point? Un plugin per generare PDF in un CMS custom. Non aggiornato dal 2011. Dentro, uno script offuscato in base64 che si collegava a un dominio turco. Lo spyware dormiva da mesi, in attesa della chiave giusta.
Come riconoscere una vittima (prima che sia troppo tardi)
Un buon tecnico impara a leggere i segnali prima degli altri. I sintomi più comuni?
- Consumo anomalo della batteria
- Traffico dati in background anche a schermo spento
- Connessioni verso IP remoti sconosciuti
- Crash improvvisi di app legittime
- Modifiche ai permessi senza consenso
Una delle tecniche che uso da decenni è l’analisi comportamentale passiva: osservo come cambia l’interazione dell’utente col dispositivo. Quando una persona inizia a ricevere notifiche da app che non ricorda di aver installato, o lamenta lentezze “da un giorno all’altro”, spesso lo spyware ha già messo radici.
Strumenti e contromisure da veterano
Non fidarti dei tool miracolosi. Io uso una combinazione di:
- Packet sniffer personalizzati (no, Wireshark non basta)
- Monitoraggio dei processi tramite shell, non GUI
- Diff giornalieri dei file di sistema
- Sandboxing per applicazioni con comportamento ambiguo
- Controllo incrociato dei domini DNS risolti nelle ultime 72 ore
Ti sembra esagerato? Aspetta di lavorare su un telefono infetto da Pegasus, dove lo spyware scompare se solo sente odore di debug. Serve mestiere, non solo software.
Le vere vittime sono quelle che non ascoltano
La lezione più dura l’ho imparata nel 2009, quando seguii un caso familiare: mia nipote, 17 anni, fu spiata per mesi da un ex compagno di scuola tramite un’app trojanizzata. L’aveva installata lei, fidandosi. Quando le spiegai cos’era successo, mi disse: “Ma lo store diceva che era sicura.” Ecco il punto: la fiducia cieca è il primo cavallo di Troia.
Oggi come allora, le vittime dello spyware non sono deboli o sprovvedute. Sono solo distratte, ingenue, o troppo fiduciose. Ma soprattutto, sono umane. Ed è lì che lo spyware colpisce: dove abbassi la guardia.
Chiudere il cerchio: il dovere dell’artigiano digitale
In un mondo dove tutti corrono dietro alla next big thing, io ti dico questo: impara a guardare i dettagli. Il vero mestiere è fatto di lentezza, pazienza e rispetto per ciò che non si vede subito. Lo spyware è come la muffa: si insinua dove c’è umidità, ma non te ne accorgi finché non è tardi.
Se vuoi evitare di diventarne vittima, o peggio, complice inconsapevole, inizia a pensare come un artigiano della sicurezza. Analizza. Studia. Diffida. E ricorda: ogni clic è una porta che si apre. Assicurati di sapere chi stai facendo entrare.
“La sicurezza non è un prodotto. È un’abitudine.” – Detto di bottega, mai superato.